Il 27 gennaio viene rievocato ciò che
è accaduto durante l’olocausto e cioè l’orrore dei campi di concentramento. In
un unico giorno ricordiamo le sterminio degli ebrei e di altre persone
innocenti, eppure non riusciamo a immaginare neppure lontanamente il loro
dolore.
Le foto, i loro oggetti e i loro resti
possono far pensare solo vagamente a ciò che hanno visto e vissuto.
Andando lì ho provato ad immedesimarmi
in loro, in quel bambino di cui ora sono rimaste solo le piccole scarpette, in
quella dona dalla bella chioma rasata con violenza inaudita, nell’uomo che
portava una gamba di legno o nella famiglia con le valigie cariche di speranza.
Forse è stata proprio questa la punizione più dura: togliere a degli innocenti
la speranza e la libertà.
Un uomo non dovrebbe mai lavorare per
essere libero ma, a mio avviso, è l’esatto contrario perché è proprio il fatto
di essere libero che ti induce a lavorare. Togliere questo diritto è come
uccidere la persona che ne è stata privata.
Noi viviamo al caldo nelle nostre case
con dei piatti fumanti su una tavola imbandita, guardando la televisione riuniti in famiglia. Per questo non credo che
potremo mai capire ciò che hanno provato.
Molte persone, quando eravamo radunati
davanti a quelle teche nelle quali erano visibili i ricordi dei deportati,
hanno provato pietà… Secondo me provare pietà per qualcuno è come ammettere che
questo è inferiore, più debole e che quindi ha bisogno di un disperato aiuto
perché da solo non ce la farà mai. Io allora non posso provare questo
sentimento perché se penso a una persona che ha lottato per vivere con tutte le
sue forze, senza mangiare e stando al freddo, posso solo sentirmi io inferiore
perché mi preoccupo per le sciocchezze quotidiane.
Penso che le persone non si rendano
conto del valore di qualcosa finché non si ritrovano a perderla. Quelle persone
hanno appreso l’importanza della vita e senza arrendersi hanno continuato a
lottare e a sopportare l’intollerabile pur di tenersela stretta. Ogni ricordo
che tiro fuori, ogni parola che rievoco mi si strozza in gola. Mi chiedo come
posso io raccontare la storia di qualcun altro che magari vuole solo dimenticare.
Mentre eravamo al campo abbiamo
incontrato una signora che da piccola aveva vissuto quell’inferno. Nei suoi
occhi vedevo l’orrore e il desiderio di scordare. Mentre i giornalisti e i
parenti le facevano mille domande, lei assimilava in silenzio quelle richieste
di raccontare. Ma non è forse una cattiveria indurre qualcuno a rivivere
costantemente un dolore insopportabile? Noi ricordiamo questo avvenimento per
far sì che non si ripeta, ma ciò succede solo in un giorno… Come se bastasse
solo un giorno per interrompere tutto. Fra qualche tempo sarà solo un episodio
orrendo della storia e non ci sarà più nessuno a ricordarlo in prima persona.
Io andando lì ho deciso di non
scordare la forza di quelle persone che hanno sofferto. Ho deciso che tutto
l’anno e per tutti gli anni a venire, terrò
a mente quelle persone di cui è rimasta solo una ciocca di capelli fra tante
altre o un nome su una valigia.
Però adesso ho paura che la serenità
della mia vita quotidiana possa essere interrotta come è successo a coloro che
cercavano solo una nuova vita.
Beatrice Carugno
Classe 3A
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