HADIA

Salire gli scalini del campanile di San Michele è stato molto faticoso. Quando sono arrivata in cima, ho aperto la botola e ho visto che le campane erano poste al di sopra di un balconcino da cui avrei visto sicuramente quello che stavo cercando. Lemozione allora ha dissolto quel podi affanno accumulato sulla rampa di nudo cemento. Mi sono arrampicata velocemente sugli ultimi scalini e sono uscita. Con stupore ho finalmente avuto la prova. Quello che cercavo era sotto i miei occhi.

 

Sul balconcino della chiesa c’era una lettera ingiallita e rovinata.

Ma non sembrava troppo vecchia, si poteva ancora aprire.

Mi avvicinai, stando ben attenta a non cadere giù dalla piattaforma di cemento.

Ad Aprilia, la mia città, era stata organizzata una caccia al tesoro, dove si cercavano foto, oggetti e documentazioni del passato.

Non mi sarei mai aspettata di trovare subito qualcosa di così sorprendente. La aprii.

Notai subito che la data non si leggeva completamente, riuscivo solo a scorgere il giorno (27) ed il mese ( Gennaio), con il numero 19 a seguire.

Cominciai a leggere.

 

“ Ciao mamma, come stai?

È da un poche non ci sentiamo. Come sta la piccola Sara? Fatti aiutare, mi raccomando, non fare tutto da sola.

Si sente la mia mancanza?

Io sento molto la vostra, da quando sono partito. Vorrei essere con te e con Sara in questo momento, ma non posso andar via.

Mamma, non so più se la guerra sia una buona cosa, che sia eroica, onorevole.

No, è tutto il contrario.

Fa freddo, e la divisa non protegge bene dalla neve, ma dovevo aspettarmelo, dopotutto è inverno. Il tempo non migliora. Il terreno è ricoperto di neve e fango, che si attacca facilmente agli scarponi. 

Talvolta capita che ad uno di noi si attacchi talmente tanto fango che i piedi sembrano di piombo. Il mio primo giorno qui è stato disastroso.

Ci hanno distribuito un intruglio di pane e legumi. Io ho rifiutato, ma mamma, non lavessi mai fatto!

Avrei dovuto accettare quel cibo, seppur disgustoso, perché non ne avrei avuto altro per molto tempo. Nonostante il rancio, moriamo tutti di fame, come moriamo di sonno. Nessuno di noi riesce a dormire, per colpa delleco delle bombe che risuona nelle nostre teste.

Mamma, lo sai un mio compagno che fine ha fatto?

È stato fucilato dai nostri superiori, perchè era uscito fuori di testa. Si contorceva le mani orribilmente, biascicava cose prive di significato, guardando tutti con occhi vitrei.

Credo che ora sia più tranquillo, lassù. Io e Giovanni DAvola siamo compagni, te lo ricordi? Il figlio della nostra fornaia.

Insomma, eravamo noi due, usciti sotto comando del nostro superiore, per verificare la posizione nemica.

Oh mamma, se lo  avessi saputo. 

Se avessi fatto qualcosa, ora, Giovanni sarebbe ancora vivo.

I nemici ci hanno teso unimboscata, dove nessuno poteva udire le nostre grida.

Eravamo nascosti dietro un cespuglio, quando un proiettile ha trapassato la gamba di Giovanni, la sua  faccia tramutò in unespressione di puro dolore.

Mamma, io in quel momento avrei dovuto fare qualcosa, avrei potuto trascinare via il mio compagno, avrei dovuto salvarlo.

Ma lunica cosa che ho saputo fare è stata scappare via, con Giovanni che gridava il mio nome e che gattonava verso la mia direzione.

E, poi, lho guardato impotente, mentre lo portavano via per estorcergli informazioni.

Ma non sapevano che, a noi soldati, non veniva rivelato nulla. Eseguivamo e basta.

Le urla disumane mi hanno fatto raggelare.

Sogno Giovanni tutte le notti. Prego per lui e maledico la mente malata degli uomini, che di umano non hanno più nulla.

Oh mamma, io vorrei essere nel nostro paese, vorrei viaggiare per il mondo, divertirmi, innamorarmi per la prima volta… ed invece sono qui, a giocare ad un gioco già perso in partenza.

Ho imparato che nessuno conosce veramente le regole di questo gioco pericoloso. La frase più famosa è ‘in Guerra tutto è lecito. Io non ci credo.

Mamma, siamo troppo giovani per tutto questo!

Le persone che avrebbero dovuto proteggermi mi hanno mandato a morire, parlando di amore per la Patria ed altre sciocchezze simili.

Non fraintendere. Io amo Aprilia con tutto me stesso.

Ma non è questo amare la Patria. Amare la Patria non significa torturare e soffrire. Non c’è amore nel distruggere altri esseri umani.

Mi pento di essermi arruolato. Vorrei tornare solo ai vecchi tempi, quando tu cantavi per me e per Sara.

Mi manca molto la mia sorellina, diglielo.

Vorrei dimenticare questo inferno, dove si è grati per ogni respiro.

Sai qual è stata una delle cose peggiori?

Assistere alla tortura di un ragazzo nemico.

Mamma, dimmi, cosa aveva di diverso da noi?

Aveva gli occhi più chiari ed i capelli biondi, era questo il problema?

A me sembrava un essere umano come noi. Era così giovane.

Perché lo abbiamo mutilato?

Perché lo abbiamo fatto urlare fino al laceramento delle corde vocali?

Perchè gli abbiamo fatto sputare sangue?

Perché lo abbiamo incatenato, costretto a compiere azioni orribili, e poi lasciato morire da solo?

Non cera nessuno a tenergli la mano, mentre emetteva il suo ultimo respiro.

Eppure era così simile a noi…

Avrei potuto fare qualcosa. Non lho fatto.

Perchè sono un inetto.

Perchè ho paura.

Domani ci aspetta una giornata logorante. 

Attaccheremo i nemici con le nostre ultime forze.

Siamo davvero pochi e la cosa raccapricciante è che molti di noi si sono fatti del male per andare in ospedale, per fuggire almeno un poda questo strazio.

Abbiamo paura, tutti.

Io non voglio morire, davvero.

Non voglio, non voglio, non voglio.

Mi stanno chiamando, c’è stato un bombardamento.

Mamma, io non so se tornerò a casa.

Qualunque cosa succeda,

Vi voglio bene.

 

        Francesco Bianchi”

Vicino al suo nome vi era una goccia di sangue, ormai secca.

Non mi sarei mai aspettata di trovare una cosa del genere, e capii che non centrava nulla con la caccia al tesoro.

Alcune lacrime sfuggirono al mio controllo e rimasi sul campanile fino al tardo pomeriggio.

Poi mi venne unidea.

Corsi in biblioteca e cominciai a sfogliare lelenco dei nomi e dei cognomi della città.

Trovai il cognome Bianchi e cominciai una lunga ricerca, che durò per ore.

Avevo trovato la famiglia di Francesco, anche se non sapevo se i componenti fossero ancora in vita.

Decisi di telefonare alla sorella, visto che era ancora piccola quando il ragazzo scrisse la lettera.

 

 

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Quattro squilli.

 

Pronto?

Una voce femminile rispose al telefono. 

Trattenni il respiro, poi mi feci coraggio e parlai.

Buongiorno signora, perdoni lora. Ho trovato una lettera che probabilmente è di suo fratello Francesco e mi sarebbe piaciuto portargliela.”

Nessuno fiatò per un tempo che parve interminabile.

Poi, Sara, con voce rotta, disse:

Certo, grazie mille. Vivo in Via Aldo Moro, numero 15A”.

Sorrisi, anche se non poteva vedermi, dirigendomi verso la via da lei indicata.

 

Una volta davanti casa di Sara, suonai il campanello.

Mi aprì una signora anziana, con gli occhi leggermente arrossati.

Mi sorrise dolcemente e mi invitò ad entrare in casa.

Mi ringraziò innumerevoli volte e si strinse la lettere al petto.

Poi mi raccontò di suo fratello.

 

Sai cara, Francesco era un tipo molto particolare. Era molto determinato e quasi mai tornava sui suoi passi. Se si è ricreduto sulla guerra vuol dire che era davvero terribile.”

E, perdoni la domanda, a lei non pesa il fatto di non poter più vedere suo fratello? Non è arrabbiata con il mondo?” chiesi io, con poca discrezione.

Certo che mi pesa. Ma sai una cosa?

Non sono poi così triste.”

E come fa?” chiesi di nuovo io.

Conosci Iris, la dea dellarcobaleno?” domandò lei.

No, mi scusi” risposi io.

Iris è la dea dellarcobaleno, che collega il cielo alla Terra,ed è la messaggera privata di Zeus.

Ognuno di noi ha la propria Iris, quella persona capace di portare i colori quando tutto sembra buio.

Francesco è la mia Iris.

Lui è uno spirito libero e veglia su di me da lassù. 

Quando vedo un arcobaleno, penso a lui. 

Mi piace pensare che, un giorno, ci ricongiungeremo. E saremo di nuovo quei due ragazzini spensierati, con tanto amore da dare.

 

Mi ricordo quel giorno come se fosse ieri. Sara mi ha fatto capire che ci sono sempre modi diversi di affrontare le cose. Lei ha scelto di credere che gli addii sono solo promesse di ritorni.

Ogni volta che vedo un arcobaleno, penso a loro.

E, da quando Sara se n'è andata, è ancora più luminoso.

 

HADIA -parola etiope che significa un affetto così forte da superare le barriere del tempo ed arrivare lo stesso a destinazione.”

Irene Dama

Classe 3G


Foto dal Web





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